Diritto d’asilo, stretta sui tempi: solo sei mesi per le risposte

articolo di Manuela Perrone pubblicato su Il Sole 24 Ore

Sei mesi al massimo per decidere sulle domande di protezione internazionale, e non 18 come si arriva ad attendere in Italia. Carico burocratico più lieve per gli Stati di primo ingresso. Una lista comune di «Paesi di origine sicuri» e liste nazionali di «Paesi terzi sicuri» verso i quali i richiedenti asilo potrebbero essere respinti, a patto però che rispettino la convenzione di Ginevra e che sia ravvisabile un «legame reale» con il migrante. Procedura di frontiera adottata facoltativamente da ogni Paese, con il divieto assoluto di detenzione per i minori. Rappresentanza legale gratuita in tutte le fasi.
Sono le novità contenute nel testo del “Regolamento procedure”, proposto dalla Commissione europea nel 2016, nella versione “ammorbidita” e riformulata dalla relatrice Laura Ferrara, europarlamentare M5S. Oggi si terrà l’ ultimo “shadow meeting” (l’ incontro con i relatori di minoranza: ce ne sono stati 23) prima del voto nella Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento (Libe), previsto giovedì.
Il nuovo Regolamento, che abrogherà la direttiva 2013/32, sarà direttamente applicabile negli Stati membri, sostituendosi alle leggi nazionali, come il decreto Minniti. Dopo la presentazione da parte della Commissione, ha sollevato polemiche. Per l’ Asgi (Associazione studi giuridici sull’ immigrazione), il piano minacciava la garanzia del diritto d’ asilo in Europa. Dopo un anno e mezzo di lavoro e trenta riunioni tecniche di staff, Ferrara si dice soddisfatta del risultato: «Abbiamo trovato un giusto equilibrio tra l’ esigenza di garantire il rispetto del diritto all’ asilo ai bisognosi di protezione e quella di assicurare una procedura veloce, efficace e non burocratica che possa ridurre gli abusi che hanno contribuito a sovraccaricare i sistemi di asilo degli Stati membri.
Conviene a tutti rendere il sistema più snello».
La negoziazione, però, è stata lunga e complessa, e non è conclusa. I popolari del Ppe e i conservatori di Ecr tifavano per la “linea dura” – il criterio del «mero transito» perché un Paese possa dirsi sicuro – e soprattutto per l’ inclusione della Turchia tra i Paesi terzi sicuri. Contrario il M5S: ««Ci siamo opposti – spiega Ferrara – e abbiamo mediato per inserire come requisito non soltanto la formale ratifica, ma il rispetto sostanziale della convenzione di Ginevra. È evidente a tutti che la Turchia non è un luogo sicuro. Inoltre, ci sono sospetti che i fondi europei siano stati usati in maniera impropria per fare la guerra in Siria». Anche sulla procedura accelerata di due mesi, il tentativo è stato quello di attenuarne la portata punitiva.
Il lavoro dei pentastellati di Strasburgo segna un altro punto nella direzione di quella marcia di accreditamento e di quel riposizionamento verso il centro, utile anche a livello nazionale.
Obiettivo: prendere le distanze dalle frange euroscettiche (dell’ Ukip, con cui il M5S siede ancora nel gruppo Efdd) e dalle forze apertamente anti-immigrazione come l’ Efn, dove sono Le Pen e la stessa Lega. Senza rinunciare a una dose di “eurocriticismo”, ma rendendolo responsabile. Vale per il Regolamento procedure, che dopo il voto in commissione entrerà nel ginepraio dei triloghi (le riunioni tra i rappresentati del Parlamento, della Commissione e del Consiglio), così come per la partita più divisiva ancora della revisione del Trattato di Dublino. Quello che disciplina l’ ingresso in Europa e le quote, e che sconta l’ alt dei Paesi Visegrad. « Ci batteremo – afferma Ferrara – perché il carico sui Paesi di primo ingresso, come l’ Italia, non sia eliminato soltanto con un maquillage comunicativo. La riforma introduce criteri e filtri che di fatto faranno gravare su di loro tutte le responsabilità della gestione dei migranti e renderanno molto difficili i ricollocamenti. Il principio della solidarietà tra Stati va rispettato fino in fondo».

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